Alcune riflessioni in tema di “Revisione
della disciplina in tema di licenziamenti individuali” ed, in particolare, di
licenziamenti oggettivi per motivi economici.
Ritengo sia necessario comprendere alcuni aspetti con particolare riguardo alle necessità o meno di accertare la
situazione economica che legittima il licenziamento e se il datore di lavoro
nella scelta del lavoratore o dei lavoratori da licenziare sia totalmente
libero nella scelta oppure tenuto a limiti o al rispetto di determinati
criteri.
Il datore di lavoro
organizza i fattori produttivi (capitale e lavoro): il quid pluris dato
dalla differenza tra il costo di tali fattori e quanto realizzato con la
vendita del prodotto o del servizio viene a costituire il suo utile d’impresa.
Se l’equilibro tra tali fattori non è corretto o non adeguato al mercato
l’imprenditore effettua scelte organizzative dei fattori produttivi, come ad esempio
investire sul capitale riducendo il personale, oppure esternalizzare in tutto
od in parte l’attività produttiva.
Atteso che la scelta dei criteri di gestione dell’impresa
è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 cost.,
un primo quesito mi sembra possa essere dato dalla questione se il
datore di lavoro possa ora procedere ad un licenziamento economico non per
ridurre i costi, ma per incrementare gli utili.
La domanda conseguente è data dal dubbio che, asserito “il
principio della insindacabilità della scelta imprenditoriale” finalizzato
ad incrementare i profitti, nel caso di un licenziamento per motivi
economici, quale controllo potrà essere effettuato circa la reale sussistenza del motivo addotto
dall’imprenditore?
A mio avviso, anche alla luce
della previsione che l’onere della prova incomba sul lavoratore e non più sul
datore di lavoro, potrebbe diventare insindacabile sia la scelta
dell’imprenditore che riguarda l’organizzazione, sia la conseguente scelta del medesimo di
licenziare un determinato lavoratore.